I diritti del lettore del mio blog

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(Tributo a D. Pennac)



lunedì 9 marzo 2009

Cacciaviti?Auto sportiva?

Non avevano tutti i torti gli slogan femministi degli anni '60.
Gli uomini quando vedono una donna seminuda vedono un oggetto.

Uno studio dell'Università di Princeton, attraverso delle risonanze magnetiche, ci fa vedere come davanti ad una foto di una donna in bikini, nel cervello maschile si attivino le parti deputate all'uso di oggetti come avvitare una lampadina, dare la cera alla macchina, sistemare la grondaia che è dall'anno scorso che piscia in giardino.

La cosa ancora più eclatante è che sembrerebbero restare immobili invece le parti del cervello che possiedono un ruolo nell'empatia, la condivisione e le comprensione di emozioni altrui.

Dpo aver letto questo meraviglioso articolo e averlo condiviso con voi, stasera indosserò uno sfavillante bikini, reggerò in mano un cacciavite e mi sdraierò davanti alla cassettiera della camera degli ospiti.
E' da quest'estate che dico all'ingegnere informatico che mi scorazza per casa in ciabatte che è rotta...
Che sia la volta buona che me l'aggiusti!


martedì 3 marzo 2009

Matera

"La forma di quel burrone era strana; come quella di due mezzi imbuti affiancati, separati da un piccolo sperone e riuniti in basso in un apice comune dove si vedeva, di lassù, una chiesa bianca, Santa Maria de Idris, che pareva ficcata nella terra. Questi coni rovesciati, questi imbuti, si chiamano Sassi: Sasso Caveoso e Sasso Barisano. Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l'Inferno di Dante. E cominciai anch'io a scendere per una specie di mulattiera, di girone in girone, verso il fondo. La stradetta, strettissima, che scendeva serpeggiando, passava sui tetti delle case, se così quelle si possono chiamare. Sono grotte scavate nella parete di argilla indurita del burrone: ognuna di esse ha sul davanti una facciata; alcune sono anche belle, con qualche moderno ornato settecentesco. Queste facciate finte, per l'inclinazione della costiera, sorgono in basso a filo del monte, e in alto sporgono un poco: in quello stretto spazio tra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto.
Le porte erano aperte per il caldo. Io guardavo passando, e vedevo l'interno delle grotte, che non prendono altra luce e aria se non dalla porta. Alcune non hanno neppure quella: si entra dall'alto, attraverso botole e scalette. Dentro quei buchi neri, dalle pareti di terra, vedevo i letti, le misere suppellettili, i cenci stesi. Sul pavimento stavano sdraiati i cani, le pecore, le capre, i maiali. Ogni famiglia ha, in genere, una sola di quelle grotte per tutta abitazione e ci dormono tutti insieme, uomini, donne, bambini e bestie. Così vivono ventimila persone. Di bambini ce n'era un'infinità. In quel caldo, in mezzo alle mosche, nella polvere, spuntavano da tutte le parti, nudi del tutto o coperti di stracci. Io non ho visto mai visto una tale immagine di miseria: eppure sono abituata, è il mio mestiere, a vedere ogni giorno diecine di bambini poveri, malati e maltenuti. Ma uno spettacolo come quello di ieri non l'avevo mai neppure immaginato. Ho visto dei bambini seduti sull'uscio delle case, nella sporcizia, al sole che scottava, con gli occhi semichiuse e le palpebre rosse e gonfie; e le mosche gli si posavano sugli occhi, e quelli stavano immobili, e non ne schiacciavano neppure con le mani. Sì, le mosche gli passeggiavano sugli occhi, e quelli parevano non le sentissero. Era il tracoma. Sapevo che ce n'era, quaggiù: ma vederlo così, nel sudiciume e nella miseria, è un'altra cosa. Altri bambini incontravo, con visini grinzosi come dei vecchi, e scheletriti per la fame; i capelli pieni di pidocchi e di croste. Ma la maggior parte avevano delle grandi pance gonfie, enormi, e la faccia gialla e patita per la malaria. Le donne, che mi vedevano guardare per le porte, m'invitavano a entrare: e ho visto, in quelle grotte scure e puzzolenti, dei bambini sdraiati in terra, sotto delle coperte a brandelli, che battevano i denti dalla febbre. Altri si trascinavano a stento, ridotti pelle e ossa dalla dissenteria. Ne ho visto anche di quelli con le faccine di cera, che mi parevano malati di qualcosa di ancor peggio della malaria, forse qualche malattia tropicale, forse il Kala Azar, la febbre nera. Le donne, magre, con dei lattanti denutriti e sporchi attaccati a dei seni vizzi, mi salutavano gentili e sconsolate: a me pareva in quel sole accecante di esser capitata in mezzo a una città colpita dalla peste. Continuavo a scendere verso il fondo del pozzo, verso la chiesa, e una gran folla di bambini mi seguiva, a pochi passi di distanza e andava a mano a mano crescendo. Gridavano qualcosa, ma io non riuscivo a capire quel che dicessero in quel loro dialetto incomprensibile. Continuavo a scendere, e quelli mi inseguivano e non cessavano di chiamarmi. Pensai che volessero l'elemosina e mi fermai: e allora soltanto distinsi le parole che quelli gridavano ormai in coro: "Signorina, dammi 'u chinì! Signorina, dammi il chinino!". Distribuì quel po' di spiccioli che avevo, perchè si comprassero delle caramelle: ma non era questo che volevano, e continuavano, tristi e insistenti, a chiedere il chinino. Eravamo intanto arrivati al fondo della buca, a Santa Maria de Idris, che è una bella chiesa barocca, e alzando gli occhi vidi finalmente apparire, come un muro obliquo, tutta Matera.
Di lì sembrava quasi una città vera. Le facciate di tutte le grotte, che sembrano case, bianche, allineate, pareva mi guardassero coi buchi delle porte come neri occhi. E' davvero una città bellissima, pittoresca e impressionante. C'è anche un bel museo, con dei vasi greci figurati, e delle statuette e delle monete antiche trovate nei dintorni. Mentre lo visitavo i bambini erano ancora là fuori al sole, e apettavano che io portassi il chinino."

Cristo si è fermato ad Eboli, Carlo Levi, scritto solo 50 anni fa.